"In fuga dall'Ucraina" - Report
140 persone accolte, 162 accessi agli sportelli, 800 contatti al numero di emergenze, 900 chiamate al centralino, 426 interventi di prossimità abitativa, 124 interventi sanitari, 202 colloqui i tutela legale, 29 laboratori linguistici, 112 abbonamenti ai trasporti, 38 iscrizioni a servizi educativi e scolastici, 1442 ore di mediazione linguistica, 49 disponibilità di appartamenti e 107 famiglie disponibili ad accogliere e 28 volontari attivi nel corso di italiano. Tutto prendendo in considerazione solamente marzo e settembre 2022.
Sono solo alcuni dei dati contenuti nel report "IN FUGA DALL'UCRAINA - Al fianco di chi fugge dalla guerra" che fotografa il lavoro di Ciac (Centro immigrazione asilo e cooperazione immigrazione) riguardo alla cosiddetta “emergenza ucraina” negli ultimi sette mesi. Si parte dalle risposte innovative per affrontare l’emergenza, alla riorganizzazione dei servizi all’attivazione della comunità, senza dimenticare il fondamentale coordinamento delle diverse realtà presenti sul territorio e l’advocacy a livello locale, regionale e nazionale. L’impegno dell’ente di tutela è stato guidato da due obiettivi: l’equità di trattamento per tutti i cittadini migranti in arrivo sul nostro territorio, che siano ucraini o di altre nazionalità e la creazione di una rete territoriale insieme al coordinamento “Civiltà dell’Accoglienza” che include diverse realtà di Parma e provincia.
DALL'EMERGENZA ALL'ACCOGLIENZA PER TUTTE E TUTTI
Introduzione di Michele Rossi, Direttore di Ciac
Mentre ultimiamo questo report dedicato all’enorme sforzo di accoglienza per chi fuggiva dall’Ucraina in guerra; mentre scriviamo queste parole a fronte del più massiccio afflusso di rifugiati nella storia del nostro paese e di come Ciac come ente di tutela e la società civile tutta ha saputo organizzarsi per far fronte ad una vera – questa sì – emergenza umanitaria; è in corso una nuova crisi del sistema di accoglienza italiano, una crisi che investe anche la nostra città e la nostra provincia.
Usando un ossimoro, potremmo dire che quella in corso e che riguarda centinaia e centinaia di richiedenti asilo provenienti dalla rotta balcanica (al più provenienti da Pakistan, Afghanistan, Bangladesh) in tutto il nord Italia, è una “crisi ordinaria”, non ciclica, ma continuativa. Ed è, letteralmente, invisibile.
A Parma, per dare un numero significativo, risultano 60 persone in attesa di una accoglienza di diritto da parte dello Stato italiano e una quindicina di questi, che stanno aspettando da più di 5 mesi di concludere la procedura di formalizzazione della propria domanda di asilo, stanno protestando silenziosamente e con grande dignità lungo i marciapiedi della città, davanti agli uffici e dormono fuori, spaventati e stanchi, ogni notte in attesa di quell’accoglienza che spetta loro di diritto. La prima notte ottobrina di pioggia abbiamo aperto i nostri uffici per garantire un tetto, provvisorio e insufficiente, alle loro persone e alla loro protesta. Un gesto umano piccolo che si unisce però alla solidarietà con la loro lotta e per noi all’impegno a tutelarne i diritti.
Queste persone, protestando pacificamente e attendendo, non stanno solamente reclamando un diritto negato; stanno salvaguardando la comunità tutta: stanno resistendo all’invisibilità. Una invisibilità fatta dalle sirene dello sfruttamento lavorativo, dal mercato nero degli alloggi e dei posti letto, dal mercato nero dei domicili “venduti”. Stanno resistendo ad usurai e profittatori. Stanno resistendo alla ricattabilità che c’è sempre nella nostra società quando i diritti sono negati, nelle tante frontiere esterne e anche interne del nostro paese.
Osservare la realtà di questa crisi di sistema continua e invisibile, considerarla alla luce di quanto è avvenuto e sta avvenendo con e per i rifugiati ucraini è oggi fondamentale, sempre più urgente, decisivo.
Significa riflettere di come potrebbe funzionare davvero ma a partire dall’esperienza concreta perché con gli ucraini questo è accaduto. Significa avere la prova, provata, che ciò che da anni Ciac e con Ciac tanti enti di tutela affermano: che è possibile, ma anche efficace – dati alla mano - un sistema pubblico di accoglienza tempestivo, diffuso, capace di tutelare e costruire integrazione sociale. Significa parlare di come potrebbe essere PER TUTTI E TUTTE e non solo per alcuni. Per questo anche è importantissimo socializzare nel dibattito pubblico e trasmettere cosa è possibile fare persino nelle condizioni più estreme che si sono verificate nella storia dell’accoglienza italiana: la crisi Ucraina.
Significa però anche- e questo è certamente più difficile – non eludere la domanda, critica ma necessaria, sul perché quel modello, quelle pratiche, quella collaborazione tra servizi e istituzioni e quell’alleanza e solidarietà tra società e migranti non sia ancora per tutti. Non sia per i richiedenti asilo che protestano e protestando diventano visibili e non sia per quelli che sopraffatti dalla fatica dei mesi di attesa, dalla salute minata dalla precarietà, dal debito contratto per una fuga “forzatamente illegale”, dall’assenza di risposte, dalla rassegnazione, sono diventati invisibili.
Per la prima volta
Per la prima volta è stato possibile per un profugo diretto in Italia entrare nel nostro paese non diventare, nel momento in cui attraversava il confine di frontiera, clandestino. Per la prima volta, grazie all’attivazione della direttiva 55 del 2001 dell’Unione Europea, è stato possibile accedere ad una protezione chiamata temporanea per la durata di 12 mesi, un anno. Occorre soffermarsi su queste due “prime volte“.
Premesso che affermare che ciò è accaduto per la prima volta significa anche dire che persino durante la crisi afghana dello scorso settembre 2021 queste semplici e in definitiva sempre possibili misure non sono state applicate, risulta evidente quanto sia importante l’impatto in termini di accesso ai servizi che queste due misure hanno comportato.
Per gli ucraini e purtroppo solo per loro, è stato possibile muoversi dentro lo spazio europeo e italiano avvicinandosi a conoscenti, parenti, amici che hanno nei fatti partecipato attivamente a quella protezione sociale che senza libertà di movimento risulta difficile, se non impossibile.
È stato possibile per loro, evitando il limbo assurdo del precipitare in quella clandestinità indotta dalla legge Bossi-Fini, accedere quanto prima ai servizi sanitari, scolastici e - per chi aveva bisogno di accoglienza - all’accoglienza pubblica, anche se il permesso di soggiorno non era pronto. È stato possibile farlo da “regolari”, presenze “legittime” e quindi “visibili”, portatrici di un bisogno e di un diritto.
Accedere tempestivamente significa infatti trovare risposte ma anche informazioni, orientamento, consapevolezze nel momento di massimo bisogno per un profugo o richiedente asilo: l’arrivo. Questo a sua volta significa aver quantomeno l’opportunità di iniziare “sin da subito“ il proprio percorso nel paese di asilo restando visibile- e la visibilità è una questione chiave oggi- nella società e nei servizi: dal sistema sanitario (siamo nel corso di una pandemia globale); al sistema scolastico per i bambini; ai servizi sociosanitari per chi fuggendo dalla guerra aveva pregressi necessità e bisogni; ad opportunità socializzanti, formative e lavorative. Ripetiamo, “sin da subito”.
Non solo, una accorta disposizione regolamentare ha permesso agli ucraini di poter viaggiare gratuitamente sui mezzi pubblici nazionali e locali nei primi cinque giorni dal loro ingresso nel paese: ciò ha permesso di recarsi al consolato, di raggiungere uffici e servizi, o di poter organizzare le proprie risorse. Perché questo non avviene per tutti? Queste elementari, fondamentali forme di tutela e garanzia hanno permesso a molti profughi ucraini, anche se certamente non tutti, di evitare umilianti forme di confinamento, procedure burocratizzanti ed in generale un processo, oneroso, di legittimazione della propria presenza nel paese d’asilo. Hanno evitato loro di aggiungere al trauma della guerra e della fuga, i traumi delle separazioni, le difficoltà del sostentamento, le attese infinite, le paure e i rischi concreti (sfruttamento in primis) della irregolarità indotta.
Ciò che è accaduto, ha quindi per alcuni versi mostrato anche - in controluce e solo per alcuni aspetti - come potrebbe essere, come potrebbe funzionare - per tutti - una politica effettivamente protettiva e rispettosa dei diritti per chi fugge da guerre, persecuzioni, crisi umanitarie, politiche, sociali ed economiche.
Tuttavia è mancata e sta mancando una cornice politica e istituzionale certa, che supporti lo sforzo di enti di tutela, enti locali, servizi cittadini e comunità che si sono al più ad oggi auto-organizzate.
Questa profonda ambivalenza, svelando senza più alcun possibile infingimento tutte le ipocrisie e le mancate responsabilità politiche e istituzionali che hanno accompagnato la storia del sistema di accoglienza italiano, ha mostrato e sta mostrando anche potenzialità inespresse. Esse rischiano tuttavia di esaurirsi rapidamente nell’abbandono e nella delega che si avranno se questo movimento della società civile resterà inascoltato.
Si rende urgente e irrinunciabile un dibattito ampio diffuso sulle politiche migratorie dell’Italia, un dibattito in cui, fuori da ogni strumentalizzazione politica, sia finalmente al centro un’analisi di ciò che è accaduto in questi anni, dei processi e degli impatti che son avvenuti e stanno avvenendo, una revisione critica delle scelte (o delle non-scelte?) che si sono succedute nel tempo. Un dibattito che ponga al centro il tema dei diritti e con esso alcune dimensioni chiave frequentemente ignorate quando si discute di accoglienza: il legame tra tutela dei diritti individuali e la coesione sociale e il contrasto a quelle forme di marginalizzazione, precarizzazione e sfruttamento (con particolare riferimento ai mercati segmentati del lavoro e dell’alloggio) che si nutrono evidentemente di quella ricattabilità sociale dei migranti che si produce quando non scattano o non scattano tempestivamente le tutele giuridiche e sociali. In questa direzione la “crisi ucraina” mostra evidenze incontrovertibili.
E su queste, ma pensando ad ogni rifugiato, di ogni provenienza, colore, religione, idea politica è pensato questo rapporto.