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News(current) NO AI CAMPI, SI ALLE PERSONE

Tre mesi di campi: diritti violati e zero servizi. Possiamo accettare tutto questo in silenzio?

A circa tre mesi dall’apertura del primo campo sulla provincia di Parma un'analisi di quanto sta avvenendo: Ciac ribadisce la propria contrarietà a queste soluzioni

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A circa tre mesi, 90 giorni, dall’apertura del primo campo sulla provincia di Parma, il Cornocchio, ed a circa due mesi, 60 giorni, dall’apertura del campo di Martorano, è doveroso stilare un primo bilancio.

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In primis va constatato come nessuno dei migranti del Cornocchio e di Martorano abbia ancora potuto formalizzare la domanda di asilo. Se non fosse per la documentazione consegnata loro dall’azione indipendente e volontaria degli operatori legali di Ciac, non avrebbero ancora - nessuno dei migranti - un nome e un cognome e a tanti mesi di distanza ancora incorrerebbero nel rischio di espulsione.

Questo rappresenta un fatto gravissimo, di cui crediamo la nostra comunità e soprattutto le nostre istituzioni non stia ragionando a sufficienza. Non avere documenti significa non potersi curare, significa non poter accedere ad altri sistemi di accoglienza, facilita lo scambio di persone e espone al traffico e allo sfruttamento. Le istituzioni dovrebbero con forza esigere questo. Invece tacciono.

Perché a distanza di tanto tempo, con una legge che prevede che la domanda di asilo vada formalizzata dalla questura entro un massimo di cinque giorni, nessuno ha ancora il documento?

Ad una violazione del diritto d’asilo di tale portata che comporta pesantissime ricadute sociali e sanitarie per tutta la comunità, la risposta è sempre la stessa da ormai trent’anni: la Questura non ha personale.

Confermiamo. Negli ormai trent’anni di attività di tutela del diritto d’asilo è sempre stato così: la Questura non ha personale; quindi, non si fanno domande d’asilo o quantomeno non si può fare domanda di asilo nei tempi richiesti dalla legge, previsti proprio per garantire l’accesso ai servizi. La mancanza di personale come condizione che oggettivamente limita e ritarda l’accesso a un diritto umano fondamentale.

Eppure, nel caso dei profughi ucraini, l’attesa è stata di pochi giorni, fila dedicata. Era solo un anno fa. Non appare quindi un argomento credibile e le responsabilità istituzionali vanno richiamate. Che si allestisca, con enorme spesa, un campo di grandi dimensioni destinato all’accoglienza di richiedenti asilo e al contempo non vi sia la programmazione del personale per seguirne le procedure di regolarizzazione, è gravissimo.


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Nel frattempo, a distanza di tre mesi, nessuno dei richiedenti asilo da mesi in condizioni di marginalità sul territorio – ovvero che non sono stati trasferiti direttamente dagli sbarchi - ha potuto accedere né al campo di Martorano né a un Cas della Prefettura. Per loro non c’è emergenza, anche se sono altrettanti degli accolti di Martorano. Per loro non vale “meglio in un container che in strada”. Strada era e strada è. Tuttavia questa domanda va posta: perché a parità di diritto, chi arriva dalla rotta balcanica, non accede a nessuna accoglienza?

A distanza di tre mesi non si sono ancora consolidati servizi che garantiscano un accesso ai servizi territoriali per gli “accolti” a Martorano. Non possono che muoversi a piedi lungo la decina di chilometri che separa il campo dalla città o salire - senza biglietto e senza documenti - su un autobus. Qualche iniziativa sociale sporadica, qualche lezione offerta da volontari, una partita di calcio, le scarpe donate dalle comunità straniere della nostra provincia, non sono sufficienti e svelano l’inadeguatezza assoluta dei capitolati Cas (nel caso di Martorano ancora più compressi) e prefettizi in generale: senza la previsione dei servizi, è tutto lasciato al volontariato.

Ma anche in questo caso urge una riflessione: è possibile che i capitolati ministeriali della prefettura violino gli standard comunitari e i servizi minimi previsti? È possibile essere “accolti” in Italia, a Parma, a Martorano, senza poter beneficiare della scuola di italiano, dell’informazione legale, della mobilità?

È possibile e ahinoi ce ne stiamo abituando, assuefatti ad una normalità che da agosto ha visto neonati in container a 50 gradi, persone con gambe fratturate che non potevano accedere ai sevizi igienici, minori in promiscuità con gli adulti, nuclei familiari separati in modo incomprensibile, nomi sempre sbagliati e ostacoli burocratici per trasferire chi ne aveva diritto verso l’accoglienza strutturata del Sai (sistema ordinario e istituzionale di accoglienza e integrazione).

In questi 90 giorni, infatti, di quasi 50 situazioni di vulnerabilità che è stato possibile individuare, solo 6 sono state trasferite nel Sai. Nel solo Sai del comune di Fidenza, unico ente locale che ha dato seguito alle segnalazioni sulla base dell’art. 17, comma 1 e 1 bis d.lgs. 142/2015, che prevede:

“Le misure di accoglienza previste dal presente decreto tengono conto della specifica situazione delle persone vulnerabili, quali i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne, i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta di esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, le persone per le quali è stato accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale o legata all'orientamento sessuale o all'identità di genere, le vittime di mutilazioni genitali”.

Infatti, a fronte di Martorano, nei suoi primi 90 giorni, le procedure di rete proposte dal Coordinamento socio-sanitario (Ciss) Ciac-Ausl per la rapida individuazione delle vulnerabilità e il trasferimento nel Sai hanno trovato mille ostacoli.  Pur a fronte di posti disponibili in appartamento. Perché?

Anche questa non è una domanda retorica e dimostra bene come Martorano non sia nato per essere chiuso in fretta. Infatti, è nato a fari spenti, lontano da ogni dibattito pubblico, da ogni coinvolgimento del territorio. Molto diversamente dalla strategia del 2022 per gli Ucraini, tesa a potenziare la regolarizzazione con il presidio presso la Questura e molto diversamente dal 2015, in cui venne istituito un hub a Baganzola (in muratura), quando il coinvolgimento preventivo del territorio aveva permesso di definire prima e pubblicamente, in modo trasparente e non opaco, procedure, ruoli, “chi fa cosa”. Un aspetto non secondario.

Quanto accaduto da agosto sino ad oggi autorizza a fare qualche previsione: un po’ provocatoriamente ci proviamo. Nei prossimi mesi continuerà il discorso sui Comuni che non accolgono per legittimare questo e altri nascenti campi. A fianco di questo discorso pubblico, un altro più tendenzioso, si affermerà (già circola): “il terzo settore non si impegna perché l’accoglienza non rende economicamente”. Una bugia clamorosa che opacizza che i bandi vanno deserti NON per una ragione economica, ma perché non prevedono i servizi dignitosi previsti dalle leggi. È per quello che vanno deserti. E continuare a riproporli, quando non vanno, non ha semplicemente senso. Infatti, per accogliere gli ucraini erano stati - e non casualmente - modificati.

In ogni caso alla fine qualche cooperativa disposta si troverà e il campo per adulti - così come quello per i minori - usciranno dalla fase esplicitamente emergenziale per diventare una presenza stabile, un “non luogo” per le “non persone” escluse dal nostro territorio.

La premier Meloni, del resto, lo aveva detto senza ipocrisie: “le nuove strutture sorgeranno in luoghi periferici a bassissima densità abitativa, facilmente sorvegliabili”. Nel dire questo aveva ammonito i migranti: “sarete trattenuti e rimpatriati”.

A quel punto, normalizzato il campo e resolo invisibile, necessario e tutto sommato ragionevole, vista la delegittimazione dell’accoglienza e al contempo la presenza sempre maggiore di migranti, si potranno anche chiudere i cancelli.

Ma questo non è l’unico destino possibile. In altri territori provinciali i sindaci trasversalmente e i prefetti hanno saputo proporre e trovare soluzioni diverse per organizzare l'accoglienza, pur di evitare l'obbrobrio della realizzazione di campi.

Nel Parmense invece? Il campo profughi che abbiamo nel nostro territorio e le condizioni in cui vengono lasciate le persone sono in aperta contraddizione con le Direttive europee in merito, con diversi articoli della nostra Costituzione, con la Dichiarazione dei diritti umani. Veramente le autorità, gli amministratori, i cittadini del Parmense accettano che tutto questo, purché avvenga tacitamente?

Noi non siamo d'accordo. Lo esprimiamo a gran voce e invitiamo tutti a fare altrettanto.

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