Al richiamo della mostra "BANKSY. Building castles in the sky" abbiamo risposto con entusiasmo! - LE FOTO
È stato bello rompere quel silenzio che caratterizza le mostre e avere la percezione chiara che non ci trovavamo solo alla stessa ora a vedere la stessa mostra ma che la stavamo proprio visitando insieme, condividendo istantaneamente punti di vista, anche solo indicando agli altri l'opera preferita. Siamo stati gruppo.
Qualche settimana fa una neo volontaria ha proposto questa attività come prima occasione per iniziare a conoscere altri volontari e accolti. Abbiamo esteso l'idea e in risposta c'è stato l'interesse a partecipare.
Dall'idea all'incontro davanti a palazzo Tarasconi di un gruppo composto da chi sta facendo esperienza del progetto tutor territoriale per l'integrazione (per maggiori informazioni CLICCA QUI - per diventare tutor: CLICCA QUI) e chi sta scoprendo che contributo può dare nei percorsi di integrazione di richiedenti asilo e rifugiati (partendo dal presupposto che sono processi dalla portata collettiva e che per questo dovrebbero sollecitare tutti) .
Per alcuni era la prima volta ad una mostra, altri erano curiosi di scoprire gli interni di quel palazzo visto solo dall'esterno, c'era chi diceva che fare questo tipo di attività aiuta a distrarsi e quindi fa bene.
Eravamo incuriositi dal mistero sull'anonimato di Banksy «in un mondo dove tutti vogliono per forza farsi vedere», provavamo ad immaginare i muri abitati dai suoi murales e il maggiore impatto che sicuramente hanno rispetto alle riproduzioni esposte.
Eravamo affascinati dalla capacità di rappresentare e racchiudere in singole immagini messaggi politici e di denuncia verso ogni forma di esclusione sociale, di disuguaglianza, di violenza, di sopruso, di sfruttamento e di indifferenza. In una stessa rappresentazione si annidavano molteplici contraddizioni attuali. Sono immagini che lasciano spazio per immaginare un cambiamento, è stato il pensiero di tutti.
Davanti al "Welcome Mat" (tappeto fatto a mano con giubbotti di salvataggio dei migranti abbandonati sulle spiagge del Mediterraneo) abbiamo scattato una foto, «è una foto antirazzista» o meglio ancora, nella sua semplicità "welcome" «dovrebbe essere alla base di tutto». Davanti alla bambina con il palloncino che sta volando via, come un'infanzia spezzata, un pensiero è andato alla condizione che i bambini di molti paesi del mondo si trovano a vivere; nella foto abbiamo sorriso, come ad anteporre un messaggio di speranza alla durezza che quell'immagine porta con sé.
È stato bello rompere quel silenzio che caratterizza le mostre e avere la percezione chiara che non ci trovavamo solo alla stessa ora a vedere la stessa mostra ma che la stavamo proprio visitando insieme, condividendo istantaneamente punti di vista, anche solo indicando agli altri l'opera preferita. Siamo stati gruppo.
Finita la mostra...spazio ad un aperitivo! Chissà da questa occasione e da quel gruppo whatsapp "quelli della mostra" quali altre occasioni di incontro e di scambio verranno fuori!
Una cosa è certa: non si può parlare di accoglienza senza curarsi della dimensione relazionale di incontro e di prossimità.
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Dall'idea all'incontro davanti a palazzo Tarasconi di un gruppo composto da chi sta facendo esperienza del progetto tutor territoriale per l'integrazione (per maggiori informazioni CLICCA QUI - per diventare tutor: CLICCA QUI) e chi sta scoprendo che contributo può dare nei percorsi di integrazione di richiedenti asilo e rifugiati (partendo dal presupposto che sono processi dalla portata collettiva e che per questo dovrebbero sollecitare tutti) .
Per alcuni era la prima volta ad una mostra, altri erano curiosi di scoprire gli interni di quel palazzo visto solo dall'esterno, c'era chi diceva che fare questo tipo di attività aiuta a distrarsi e quindi fa bene.
Eravamo incuriositi dal mistero sull'anonimato di Banksy «in un mondo dove tutti vogliono per forza farsi vedere», provavamo ad immaginare i muri abitati dai suoi murales e il maggiore impatto che sicuramente hanno rispetto alle riproduzioni esposte.
Eravamo affascinati dalla capacità di rappresentare e racchiudere in singole immagini messaggi politici e di denuncia verso ogni forma di esclusione sociale, di disuguaglianza, di violenza, di sopruso, di sfruttamento e di indifferenza. In una stessa rappresentazione si annidavano molteplici contraddizioni attuali. Sono immagini che lasciano spazio per immaginare un cambiamento, è stato il pensiero di tutti.
Davanti al "Welcome Mat" (tappeto fatto a mano con giubbotti di salvataggio dei migranti abbandonati sulle spiagge del Mediterraneo) abbiamo scattato una foto, «è una foto antirazzista» o meglio ancora, nella sua semplicità "welcome" «dovrebbe essere alla base di tutto». Davanti alla bambina con il palloncino che sta volando via, come un'infanzia spezzata, un pensiero è andato alla condizione che i bambini di molti paesi del mondo si trovano a vivere; nella foto abbiamo sorriso, come ad anteporre un messaggio di speranza alla durezza che quell'immagine porta con sé.
È stato bello rompere quel silenzio che caratterizza le mostre e avere la percezione chiara che non ci trovavamo solo alla stessa ora a vedere la stessa mostra ma che la stavamo proprio visitando insieme, condividendo istantaneamente punti di vista, anche solo indicando agli altri l'opera preferita. Siamo stati gruppo.
Finita la mostra...spazio ad un aperitivo! Chissà da questa occasione e da quel gruppo whatsapp "quelli della mostra" quali altre occasioni di incontro e di scambio verranno fuori!
Una cosa è certa: non si può parlare di accoglienza senza curarsi della dimensione relazionale di incontro e di prossimità.
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