Afghanistan. Dopo quasi un anno i corridoi umanitari devono ancora partire
La promessa dell’Italia di non abbandonare gli afghani in fuga dal regime talebano ad oggi non è stata mantenuta.
rassegna stampa
Dal Fatto Quotidiano del 16 maggio 2022.
“Non abbandoneremo gli afghani”, aveva detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio il 15 agosto 2021, mentre Kabul cadeva e i talebani riprendevano il controllo dell’Afghanistan. A un anno di distanza nemmeno uno degli appena 1200 afghani inseriti nei corridoi umanitari attivati in Iran e Pakistan è arrivato in Italia, e nonostante le associazioni coinvolte si siano fatte carico di ogni spesa, volo compreso. “Alle sedi diplomatiche mancava la strumentazione per rilevare le impronte, che dovrebbe essere partita oggi”, spiega Valentina Itri, responsabile immigrazione di Arci, una delle realtà che lo scorso 4 novembre ha firmato il protocollo sui corridoi per i 1200 sfollati in Iran e Pakistan. Che nell’attesa rischiano di essere espulsi e di morire per mano del regime talebano. Ma l’insostenibile lentezza delle procedure non è l’unica responsabilità dell’Italia. Il ministero degli Esteri ha infatti deciso di opporsi al rilascio di visti umanitari a cittadini afghani fuggiti in paesi dove i corridoi non esistono, né è presente un ufficio delle Nazioni Unite al quale rivolgersi. E il Tribunale di Roma per ora gli ha dato ragione.
Quando il 14 agosto scorso la città di Mazar-i-Sharif, nel nord dell’Afghanistan, è stata occupata dai talebani, come molti altri concittadini anche una coppia di medici ha attraversato il confine più vicino, quello con l’Uzbekistan che inizialmente aveva mostrato una certa apertura. Troppo rischioso restare per due persone impegnate politicamente, lei in attività di sostegno all’emancipazione delle donne, lui anche come giornalista. Ma la loro permanenza nel vicino Uzbekistan è legata a un visto di breve durata, che una volta scaduto li avrebbe esposti al rischio di espulsione e alla consegna nelle mani dei talebani. Nel Paese non ci sono corridoi umanitari per i quali fare domanda, né un ufficio dell’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati che ha più volte sollecitato la necessità di protezione internazionale per le migliaia di afghani in territorio uzbeko. Così marito e moglie tentano la strada del visto umanitario e con l’assistenza di un avvocato italiano fanno richiesta al nostro ministero degli Esteri. La risposta? Non c’è. Niente, nemmeno un no. La palla passa allora al tribunale di Roma, che però nega la possibilità citando una recente ordinanza dello stesso foro.
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“Non abbandoneremo gli afghani”, aveva detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio il 15 agosto 2021, mentre Kabul cadeva e i talebani riprendevano il controllo dell’Afghanistan. A un anno di distanza nemmeno uno degli appena 1200 afghani inseriti nei corridoi umanitari attivati in Iran e Pakistan è arrivato in Italia, e nonostante le associazioni coinvolte si siano fatte carico di ogni spesa, volo compreso. “Alle sedi diplomatiche mancava la strumentazione per rilevare le impronte, che dovrebbe essere partita oggi”, spiega Valentina Itri, responsabile immigrazione di Arci, una delle realtà che lo scorso 4 novembre ha firmato il protocollo sui corridoi per i 1200 sfollati in Iran e Pakistan. Che nell’attesa rischiano di essere espulsi e di morire per mano del regime talebano. Ma l’insostenibile lentezza delle procedure non è l’unica responsabilità dell’Italia. Il ministero degli Esteri ha infatti deciso di opporsi al rilascio di visti umanitari a cittadini afghani fuggiti in paesi dove i corridoi non esistono, né è presente un ufficio delle Nazioni Unite al quale rivolgersi. E il Tribunale di Roma per ora gli ha dato ragione.
Quando il 14 agosto scorso la città di Mazar-i-Sharif, nel nord dell’Afghanistan, è stata occupata dai talebani, come molti altri concittadini anche una coppia di medici ha attraversato il confine più vicino, quello con l’Uzbekistan che inizialmente aveva mostrato una certa apertura. Troppo rischioso restare per due persone impegnate politicamente, lei in attività di sostegno all’emancipazione delle donne, lui anche come giornalista. Ma la loro permanenza nel vicino Uzbekistan è legata a un visto di breve durata, che una volta scaduto li avrebbe esposti al rischio di espulsione e alla consegna nelle mani dei talebani. Nel Paese non ci sono corridoi umanitari per i quali fare domanda, né un ufficio dell’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati che ha più volte sollecitato la necessità di protezione internazionale per le migliaia di afghani in territorio uzbeko. Così marito e moglie tentano la strada del visto umanitario e con l’assistenza di un avvocato italiano fanno richiesta al nostro ministero degli Esteri. La risposta? Non c’è. Niente, nemmeno un no. La palla passa allora al tribunale di Roma, che però nega la possibilità citando una recente ordinanza dello stesso foro.
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