Omicidio Alika: rabbia, violenza, razzismo. L'Italia è un'altra cosa
approfondimenti
di Marcello Volta
Alika Ogochukwu aveva 39 anni, disabile era sposato e con un figlio piccolo. Per vivere chiedeva qualche spicciolo ai passanti. E' morto sabato in pieno centro a Civitanova Marche. Un 32enne lo ha prima colpito con una stampella e poi soffocato a mani nude. A scatenare la furia omicida sarebbe stato l'atteggiamento molesto della vittima.
Sin qui i fatti, nudi e crudi. Ma dietro la fredda cronaca c'è altro: la rabbia, la violenza, il razzismo ma anche l'indifferenza e il futuro dell'Italia.
Andando in ordine: il razzismo. Il punto qui non è la provenienza o il colore della sua pelle della vittima o quella dell'assassino, ma la violenza che è stata utilizzata da un uomo contro un altro uomo. Da dove arriva questa rabbia? Da quando è "normale" questo livore? Forse è l'assenza di una reale educazione al diverso, di certo ha un ruolo una classe politica che soffia sul fuoco dell'intolleranza, che - per meri fini elettorali - non bada ai danni profondi e diffusi che la loro loro campagna sta portando nella società. Lo sdoganamento dell'odio contro lo straniero, il povero, il diverso, presente nelle parole di alcuni può solo portare a fatti drammatici come quello accaduto a Civitanova.
Ma c'è anche altro nell'omicidio Alika: l'indifferenza. La strada dove il dramma è avvenuto era frequentato da molti passanti: nessuno è intervenuto, in diversi hanno deciso di filmare con il cellulare quanto stava avvenendo. Sarebbe troppo facile unirsi al coro quelli che accusano di menefreghismo chi ha deciso di non fare nulla. Chi di noi, vedendo un'aggressione tanto violenta, avrebbe deciso di intervenire mettendo a rischio la propria vita? La risposta non è scontata. E non stiamo parlando di coraggio ma di scelte: quanto vale la vita di un altro, forse quella di un "diverso" vale meno? Tagliare con l'accetta le situazioni, dividendo tutto in bianco o nero è un'abitudine semplice, ma porta a risposte sbagliate. C'è un'altra domanda aperta: se i colori della pelle di vittima e carnefice fossero stati invertiti qualcuno avrebbe cercato di intervenire? Non lo sapremo mai.
C'è un ultimo punto, non certo secondario, che va affrontato: il futuro. Da una parte una famiglia distrutta, la moglie che non riesce a capacitarsi di quanto accaduto, la politica che promette di non abbandonarli, dall'altra sdegno a frotte sui social e nelle discussioni politiche. Facciamo una scommessa: qualche giorno e nessuno si ricorderà più dell'omicidio di Alika. Torneremo alle nostre discussioni inutili, i politici continueranno a parlare di porti chiusi, di invasione e di criminalizzazione dei migranti. Bisogna uscire da questo cortocircuito. Abbattere le barricate del “noi” contro “loro”, dei “bianchi” contro i “neri”, degli Italiani contro gli stranieri.
Alla fine, però. resta solo una certezza: l’Italia non è solo il paese che abbiamo visto sabato. Ma è una nazione fatta di associazioni, volontari, medici e forze dell’ordine che ogni giorno supportano chi ha bisogno di aiuto. Tutti dobbiamo assumerci una grande responsabilità, lavorare per costruire, non per distruggere, per onorare le vittime, non per farne bandiere politiche, per curare le ferite, non infiammarle. Ed è da questo certezza che dobbiamo partire per continuare a combattere. Per Alika, per la sua famiglia e per tutti quelli come loro.
Immagine di apertura di Gianluca Costantini (@channeldraw su Twitter)