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Cosa è andato storto nell’accoglienza degli ucraini

Le oltre 150.000 persone in fuga dalla guerra hanno goduto di una normativa finora mai attuata per i rifugiati in Italia, ma sono state accolte soprattutto dai connazionali residenti nel Paese, mentre dopo sei mesi meno di 14.000 hanno un posto nel “Sistema di accoglienza e integrazione”. Secondo la redazione del Dossier Statistico Immigrazione ha deluso anche l’ospitalità “diffusa” nelle famiglie: 287 contro quasi 6.000 posti disponibili. La causa? “Un’impostazione burocratica ed emergenziale che ha vanificato le buone intenzioni. E che va superata, per tutti i profughi”

rassegna stampa
Pubblichiamo questo articolo uscito su Comune-info.net  riguardo l'accoglienza dei profughi scappati dalla guerra in Ucraina, condividiamo in particolare la parte riguardante le difficoltà del sistama italiano a dare risposte concrete e chiare alle persone.



Tre settimane dopo la decisione dell’Ue di attivare per la prima volta la Direttiva n. 55 del 2001 sulla “concessione della protezione temporanea” per i profughi ucraini in fuga dalla guerra, l’Italia con il Dpcm del 28 marzo 2022 ha introdotto rilevanti innovazioni nell’accesso degli ucraini alla protezione e all’accoglienza.

Le grandi novità sperimentate per la prima volta dal nostro Paese sono state diverse. In primo luogo, sono caduti i vincoli relativi all’integrazione sociale. Ai profughi dall’Ucraina è stato riconosciuto fin da subito il diritto di scegliere la città (o il Paese europeo) in cui fermarsi, cercare un lavoro, affittare un alloggio, iscrivere i figli a scuola, accedere al Sistema sanitario nazionale e ricevere cure e vaccinazioni: un passo avanti di grande rilievo nell’accesso ai diritti sociali e che andrebbe esteso a tutti i profughi e richiedenti asilo, nell’interesse non solo loro ma di tutta la società.

In secondo luogo, l’accoglienza domestica (o in famiglia) è stata assunta a politica pubblica. Sotto la denominazione di “accoglienza diffusa” la Protezione civile ha emanato ad aprile un bando per l’assegnazione di circa 15.000 posti, tra accoglienza domestica propriamente detta (oltre 4.000 posti) e appartamenti attivati dagli Enti del terzo settore mediante accordi con i Comuni.

In terzo luogo, gli sfollati ucraini sono stati autorizzati a cercare sistemazioni autonome, ricevendo direttamente un contributo monetario. Ancora un’innovazione inaspettata e positiva, che ha riconosciuto l’autonomia e la responsabilità dei rifugiati ucraini (ma non di tutti gli altri) e il grande valore dei loro legami con le comunità locali. Sono infatti circa 236.000 gli ucraini stabilmente residenti in Italia, soprattutto donne (77,6 per cento) largamente occupate presso le famiglie italiane, che hanno contribuito all’accoglienza sul territorio.

Le previsioni del governo erano di accogliere circa 100.000 persone. All’inizio di settembre, secondo i dati della Protezione civile, sono quasi 154.000. La maggior parte ha ricevuto una qualche assistenza pubblica: circa 8 su 10, se si considerano le forme di sostegno erogate alla stessa data (oltre 124.000), al netto delle oltre 8.000 collocazioni in strutture alberghiere che le nuove previsioni avrebbero voluto evitare. Ma di che tipo di sostegno si tratta?

In 9 casi su 10 di contributi economici (oltre 110.000, l’89 per cento sempre escludendo le sistemazioni alberghiere): un contributo modesto, limitato nel tempo (300 euro al mese per gli adulti e 150 per i minori, per non più di 90 giorni) ed erogato tardivamente, che copre solo in parte i costi dell’ospitalità attivata da privati e Terzo settore. Ovvero una misura parziale a sostegno del protagonismo e della reazione immediata e autonoma degli ucraini in Italia e dell’intera società civile.

Resta contenuta l’accoglienza nella rete Sai/Cas (quasi 14.000, 9 per cento), già prima dell’arrivo dei profughi dall’Ucraina sottostimata rispetto alle necessità.

E non ha funzionato l’attuazione della cosiddetta “accoglienza diffusa” introdotta dalle nuove disposizioni, a causa delle lentezze e rigidità burocratiche nell’avvio dei progetti: l’avviso per la manifestazione di interesse è rimasto aperto solo 12 giorni (11-22 aprile); delle 48 proposte presentate, 29 sono state giudicate idonee (per 17.012 posti, di cui 4.463 in accoglienza domestica); solo a inizio agosto sono state siglate le prime convenzioni, troppo tardi per sostenere le convivenze già in essere (iniziate dal 24 febbraio) e per attivare famiglie che si erano rese disponili mesi prima. E così, a metà settembre risultano sottoscritte solo 10 convenzioni (5.943 posti e 287 persone accolte), che oltretutto termineranno il 31 dicembre, con poca chiarezza sul dopo.

Nell’eccezionalità delle circostanze, dunque, aver puntato sullo slancio solidaristico della popolazione (e degli ucraini già in Italia) ha garantito una risposta alla larga maggioranza dei profughi, per lo più presso privati invece che in strutture collettive, ma l’intenzione di canalizzare l’onda emotiva in forme di accoglienza organiche, organizzate e sostenibili è andata troppo a rilento: su oltre 150.000 profughi ucraini giunti in Italia, il sistema istituzionale ne ha accolto meno del 20 per cento tra alberghi, Sai/Cas e bando della Protezione civile.

Per superare questa fase e non disperdere le ottime innovazioni introdotte dall’Italia, urge snellire quanto più possibile le procedure di attuazione del piano di accoglienza e mettere a sistema il modello sperimentato con gli ucraini, estendendo il trattamento finora riservato solo a loro a tutte le persone che arrivano in Italia in cerca di protezione da conflitti e pericoli concreti per la loro sopravvivenza.

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