La vita delle persone non può essere strumento di gestione della politica estera da parte dell’Europa e dei governi nazionali
Cronaca
Il respingimento massiccio dei migranti o richiedenti asilo in ingresso verso l’Europa ai confini tra la Bielorussia e la Polonia, ma anche alla frontiera con la Lituania e Lettonia, è l’estrema conseguenza delle egoistiche politiche di chiusura delle frontiere che, oramai da molti anni, gli Stati membri dell’Unione europea stanno perseguendo e che, a ben vedere, anche la Commissione europea non contrasta in alcun modo.
Ancora una volta, come è già accaduto in altri contesti, le persone bloccate nelle aree di confine – molte delle quali in evidente condizione di estrema fragilità – vengono utilizzate strumentalmente per fare valere ragioni politiche e conflitti tra l’Unione europea e la stessa Bielorussia che nulla hanno a che vedere con le questioni migratorie.
Un esercito contro persone inermi
Ci si chiede come sia possibile immaginare che la Polonia, che ha ospitato nel 2020 poco più di 1.500 richiedenti asilo, possa ritenere in pericolo la propria sicurezza, tanto da dichiarare uno stato di emergenza nazionale e da schierare un ingente esercito per fronteggiare famiglie e persone inermi.
La situazione esistente al confine tra Unione Europea e Bielorussia è evidentemente gestibile senza mettere in campo dispositivi militari che nulla hanno a che fare con i principi di libertà e democrazia che dovrebbero governare le scelte dei Paesi all’interno dell’Unione europea; è evidentemente gestibile senza impedire a giornalisti ed organizzazioni della società civile di documentare le violenze in atto e supportare le persone che necessitano di aiuto materiale immediato.
Tuttavia, invece di condannare fermamente il comportamento delle autorità polacche, anche altri Stati membri dell’Unione europea stanno utilizzando strumentalmente la vicenda per legittimare scelte draconiane di riforma della loro legislazione interna in materia di immigrazione ed asilo (è il caso certamente della Polonia e della Lituania).
La stessa UE si rende responsabile di quanto sopra: il recente rafforzamento delle misure restrittive nei confronti della Bielorussia dirette anche nei confronti di coloro che agevolano l’attraversamento delle frontiere esterne dell’Unione e i colloqui in corso con le autorità bielorusse per agevolare il rimpatrio dei migranti presenti nelle aree di frontiera, dimostrano che anche la priorità dell’Unione Europea è esclusivamente quella di rafforzare e proteggere i confini, non certo quella di garantire il diritto di asilo e l’accesso dignitoso delle persone nel proprio territorio.
Non meraviglia, dunque, che tali scelte raggiungono il culmine con la volontà, chiaramente manifestata da 12 Stati membri (Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Repubblica Slovacca) di innalzare muri fisici di confine con l’esterno dell’Unione europea. Proposta relativamente alla quale la stessa Commissione europea ha dato il proprio implicito avallo, salvo sostenere che ciò non verrà fatto con finanziamenti propri.
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