Mille memorie autografe di rifugiati raccontano la migrazione contemporanea
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Pubblichiamo con piacere l'intervista che il direttore di Ciac, Michele Rossi, ha rilasciato nei giorni scorsi al direttore di Altreconomia Duccio Facchini su 1.000 racconti non mediati di richiedenti asilo in Italia nel periodo 2012-2020. Il risultato è un affresco corale sulla migrazione forzata, e forzatamente “irregolare”, che smonta narrazioni e categorie.
L’analisi delle memorie autografe di circa 1.000 richiedenti asilo in Italia nel periodo 2012-2020 ribalta i racconti stantii sulle migrazioni, sull’accoglienza, sul concetto di protezione o su quello di “Paesi sicuri”. Aiuta a comprendere la migrazione forzatamente “irregolare” dei nostri tempi e le sue “fasi”. Una fonte inedita che è al centro di un prezioso lavoro di ricerca condotto da Michele Rossi, direttore del Centro immigrazione asilo e cooperazione internazionale (Ciac) di Parma e dottore di ricerca in Psicologia sociale, che ha preso la forma di un agile volume intitolato “Pensavo di essere libero, e invece no”, pubblicato lo scorso anno dalla Fondazione Migrantes.
Rossi ha studiato le “memorie di asilo” di 400 richiedenti nel periodo 2012-2017, cui se ne sono aggiunte altre 494 relative al periodo 2017-2020, con l’obiettivo di individuare e catalogare le variabili che caratterizzano il “processo migratorio”, dalle fasi precedenti al viaggio sino all’approdo nel “contesto ospitante”. Il materiale è di enorme rilievo proprio perché, come ricorda Rossi, si tratta di “manoscritti autografi prodotti dai richiedenti asilo immediatamente dopo l’approdo in Italia”. È la persona che parla, non ci sono intermediari. Rossi ha potuto lavorare su questo materiale -e ne ha riportato ampie citazioni- perché al Ciac, da anni, è prassi raccogliere e custodire tali documenti, vagliati naturalmente con il consenso degli interessati. “Non si conoscono studi scientifici che abbiano utilizzato questo materiale”, osserva Rossi. E ci si interroga, leggendo il libro, come sia stato possibile fino ad oggi mancare scientificamente un simile bersaglio. Il punto di vista di chi migra mette infatti in crisi le categorie che attualmente utilizziamo per interpretare la migrazione forzata e soprattutto fa emergere i dispositivi strutturali del ricatto, del controllo e della violenza. Che sono regole e non invece deviazioni, e che soprattutto inseguono la persona anche al suo “arrivo”, sotto altre spoglie. Lo studio, ricchissimo di racconti e testimonianze, si conclude con la configurazione di tre “profili” emergenti (e non “categorie”), frutto dell’analisi statistica dei dati estratti dalle memorie. Oltre al “rifugiato classico” ci sono infatti il “cittadino senza Stato” e la “persona senza comunità”.
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